lunedì 16 gennaio 2012

RISPOSTA del Comitato Pugliese AcquaBeneComune al DECALOGO di Fabiano Amati


Caro Assessore,

siamo sinceramente sorpresi delle domande che ci rivolge – poiché pensiamo che dovrebbero essere gli amministratori a dare risposte ai cittadini e non il contrario – ma anche altrettanto sinceramente contenti, poiché questa sua nota pubblica ristabilisce la comunicazione (sospesa ormai da mesi) ed esprime la sua disponibilità a comprendere e la sua intenzione a superare i “nodi” che si sono creati in questo periodo (e non semplicemente con il Comitato pugliese “Acqua Bene Comune” ma anche con quella parte di cittadinanza che ha fortemente creduto nella realizzazione dell’impegno alla ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che avete assunto in campagna elettorale).

Le riflessioni e le osservazioni - che, in questi mesi, abbiamo portato alla sua attenzione, a quella del Presidente e del Consiglio regionale, e attraverso la stampa, a quella della cittadinanza tutta - poggiano su un punto centrale dal quale è necessario ripartire per poter affrontare la situazione nella sua completezza.

Si tratta della ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che, allo stato attuale, ci risulta essere ancora una Società per Azioni, così come, del resto, non ci risulta che il Governo regionale si sia attivato per dare corso e attuazione alle forme di partecipazione della cittadinanza così come previste all’art. 6 del testo di legge approvato dal Consiglio regionale.

Rispetto al primo punto lei sostiene che la mancata trasformazione di AQP SpA in soggetto pubblico è da ricondurre al fatto che il governo nazionale abbia impugnato la legge pugliese.

A parte il fatto che l’esito referendario permette oramai una scelta del genere, lei sa bene che parte dei motivi alla base dell’impugnazione risiedono proprio nella “mancata” qualificazione del servizio idrico come “servizio di interesse generale, privo di rilevanza economica”. La soppressione di tale qualificazione (prevista, invece, nel testo originario del disegno di legge regionale, concordato con il Comitato pugliese e il resto del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua) è in parte alla base del ricorso del Governo nazionale che, così, si è potuto appellare alla tutela della concorrenza per impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale (in quanto, come previsto dalla Costituzione, tutto ciò che è riconducibile alla concorrenza è di competenza statale).

Inoltre, come interpretare le diverse iniziative che hanno visto l’Acquedotto pugliese AQP S.p.A., in compagnia di società come Hera S.p.A., Acea S.p.A., di multinazionali come Veolia, ecc.?

E la scelta, ad esempio, di sponsorizzare il "Festival dell'Acqua", fortemente voluto e organizzato da Iren S.p.A. e Federutility che certo, per sua stessa ammissione, non condivide le posizioni di quanti ritengono l’accesso all’acqua potabile sia un bene dell’umanità e per questo vogliono ripubblicizzarne la gestione? Del resto, ci risulta che AQP SpA sia ancora nella giunta esecutiva di Federutility. O ci sbagliamo?

Rispetto alle tariffe, non siamo noi che diciamo che la Regione “non le vuole diminuire” (del resto sappiamo tutti che la competenza è dell’ATO, oggi in Puglia, dell’AIP) ma è lei che in diverse occasioni ha sostenuto e dichiarato pubblicamente che la “remunerazione del capitale in Puglia è un costo” e che, dunque, non si sarebbe potuto eliminare dalle tariffe (nonostante l’esito referendario stabilisse contrariamente).

Eliminare la remunerazione del capitale dalle tariffe non è questione di “prestigio o consenso” – e neanche di “applausi a scena aperta” – è semplicemente questione di legalità, nel senso di attuazione di quanto previsto dall’esito referendario, attuazione della legge, amministrazione corretta della cosa pubblica.

Del resto sulla sua fattibilità, dovrebbe essere di conforto il recente comunicato del Presidente Vendola (diffuso a mezzo dell’agenzia stampa regionale) nel quale sostiene la possibilità di poter ricorrere a un aumento della “quota di cofinanziamento del Piano d’Ambito a valere sulle risorse della programmazione unitaria” (http://www.regione.puglia.it/?page=pressregione&opz=display&id=12100).

La remunerazione del capitale non è un costo. Neanche in Puglia, naturalmente.

Lo sa l’AATO che, come si legge, nel documento di “RIMODULAZIONE PIANO D’AMBITO 2010-2018 (CAPITOLO 7)”-, afferma che “La remunerazione del capitale investito rappresenta il ristoro economico e l’incentivo riconosciuto al soggetto gestore per il finanziamento degli interventi mediante l’impiego di mezzi propri”.

Lo sa l’ANFIDA, Associazione Nazionale Industriali degli Acquedotti, che nella memoria depositata contro l’ammissibilità dei referendum (e riportata nella Sentenza 26/2011, ref. 151 (Decisione 12/01/2011), sostiene che “l’eliminazione del riferimento alla remunerazione del capitale, quale componente della tariffa, e, dunque, alla possibilità di conseguire utili dall’attività di gestione di un servizio pubblico […] la previsione che si intende abrogare, nello stabilire che il corrispettivo del servizio idrico integrato è stabilito anche in considerazione del diritto dell’imprenditore di ottenere un utile dall’attività prestata”.

Lo sancisce la Sentenza della Corte Costituzionale di ammissione dei referendum (Sentenza 26/2011, ref. 151, decisione 12/01/2011), che al punto5.2. sostiene che “mediante l’eliminazione del riferimento al criterio della «adeguatezza della remunerazione del capitale investito», si persegue, chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua […] coessenziale alla nozione di “rilevanza” economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n. 325/2010), non già la remunerazione del capitale.



Gli interessi sui debiti (compresi, dunque, i bond) sono già conteggiati alla voce interessi passivi nel conto economico, sono un costo finanziario che nulla ha a che fare con la remunerazione del capitale. Se avessimo la possibilità di visionare il bilancio dell’acquedotto pugliese – che gestisce un bene comune e la cui contabilità a maggior ragione dovrebbe essere pubblica e di facile fruizione (sul sito dell’AQP, risultano pubblicati solo i bilanci 2004, 2005 e 2006, http://www.aqp.it/portal/page/portal/MYAQP/PAGE_MYAQP_ISTITUZIONALE/PAGE_MYAQP_DATIECONOMICI/PAGE_MYAQP_BILANCI, mentre AQP SpA non risponde alle nostre richieste di documentazione) – ci si potrebbe rendere conto insieme dell’esistenza di tale voce, come potremmo renderci conto della portata dell’indebitamento e del suo impiego.

Per il momento ciò che è noto alla cittadinanza – a parte qualche cifra del piano industriale – è il fatto che le attività di depurazione e di potabilizzazione sono ancora realizzate da due società a responsabilità limitata, società anch’esse di diritto privato che rispondono alle logiche e alle leggi di ogni società commerciale. E sulla loro sorte ancora non si sa nulla.

Il problema è che un forte indebitamento generalmente – e come numerosi casi in questo Paese ci insegnano – è “propedeutico” a un possibile “fallimento” e, dunque, alla “necessità” di ricorrere a “nuovo” capitale e, dunque, alla privatizzazione.

Non stiamo dicendo – e non ce lo auguriamo certo – che questo sia il destino dell’Acquedotto pugliese, né la volontà del governo regionale, ma certo non possiamo non notare il pericolo potenziale che sembra profilarsi all’orizzonte.

Del resto, diminuire la tariffa della somma corrispondente alla remunerazione del capitale non dovrebbe incidere sugli investimenti che vengono “recuperati” nella tariffa stessa attraverso la voce dei costi di ammortamento.

Alla disciplina economico e contabile, si aggiunge la sentenza della Corte Costituzionale di ammissione dei referendum (26/2011, ref. 151, decisione 12/01/2011), che al punto 5.4. chiarisce che “la normativa residua, immediatamente applicabile (sentenza n. 32 del 1993), data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».

Del resto, apprendiamo che tale consapevolezza è stata fatta propria anche dal Presidente Vendola che, sempre nella nota di cui sopra, indica come possibile soluzione operativa “quella di incrementare la quota di investimenti pubblici riducendo quella a carico della tariffa, assicurando comunque la piena attuazione di tutti gli investimenti previsti dal Piano d’Ambito 2010-2018 pari a complessivi € 1.484 milioni (di cui 911 milioni a carico della tariffa e i restanti 573 milioni a carico del finanziamento pubblico)” http://www.regione.puglia.it/?page=pressregione&opz=display&id=12100 .

Non è questa forse la prova provata che gli investimenti si possono comunque sostenere, a prescindere dalla remunerazione del capitale, se solo ci fosse la volontà politica di farlo?


In ultimo, ci permettiamo di farle notare, che questo costante riferimento alle pagelle delle agenzie di rating non ci lascia tranquilli. Le agenzie di rating – società private non esenti da conflitti di interesse – sono le stesse che hanno giocato una parte rilevante nella crisi finanziaria che si è abbattuta e dalla quale stentiamo a uscire.

Dunque, ci chiediamo quale credibilità si possa oggi attribuire a tali agenzie. Non solo rispetto alla non affidabilità delle loro valutazioni – il caso Enron e Parmalat insegnano – ma anche rispetto alle loro reali (quanto recondite) intenzioni.

Del resto lo Stato, le amministrazioni, gli enti e le aziende pubbliche, non sono società, non funzionano e non dovrebbero funzionare come società private, non hanno come obiettivo la remunerazione del capitale per gli azionisti e, dunque, non possono essere valutate sulla base di tali criteri e parametri. Non trova?

Non risiede anche in questo – ovvero nel tentativo di gestire il pubblico con gli obiettivi e le dinamiche del privato – parte del problema che sta attanagliando il nostro Paese, e non solo?

Rispetto al contributo noto come “componente ambientale”, piuttosto che della messa in sicurezza degli impianti, a cui fa riferimento e sui quali ci chiede di esprimerci , conveniamo certamente con lei e con la normativa in vigore che trattasi di un costo da pagare, ma è appunto un costo, non la remunerazione del capitale!

Su questo punto vorremmo fosse chiaro che non siamo per una riduzione delle tariffe tout court – che, invece, dovrebbero aumentare cospicuamente per chi fa un consumo spropositato della risorsa -, ma solo per il rispetto dell’esito referendario e, dunque, della legge.

Per questo, in tutta Italia è stata lanciata la campagna di “Obbedienza Civile” che in Puglia presenteremo venerdì 20 gennaio (ore 17.00 presso l’Aula Aldo Moro dell’Università di Bari, Facoltà di Giurisprudenza, Via C. Battisti, 1) e che ci auspichiamo possa essere un’occasione per continuare il confronto e la comunicazione che lei ha aperto con questa sua nota e per intraprendere insieme – se c’è la volontà politica del Governo regionale – una battaglia radicale (determinata e determinante) sia sul piano culturale, sia su quello sociale e, conseguentemente, su quello politico.

Il nostro auspicio e la nostra richiesta (mai mutata e che qui rinnoviamo) è che la Puglia possa essere il laboratorio innovativo nella sostanza (gestione pubblica e partecipata dei beni comuni) e nella metodologia (interlocuzione costruttiva con la cittadinanza e sperimentazione di forme di partecipazione) a cui tutta Italia (e non solo) guardava con attenzione e nei confronti della quale, forse, non ha ancora perso la speranza. E anche noi siamo certi che, se solo ci fosse la volontà politica, la Puglia potrebbe senza indugi “recuperare anche innovativamente l’indicazione del referendum” e con questo essere, insieme a Napoli, l’apripista di una nuova stagione in Italia.

E anche per questo, per questa speranza – oltre, naturalmente, che per il fatto che siamo cittadini pugliesi – il motivo per cui le nostre riflessioni si rivolgono alla Puglia e all’AQP SpA, non certo per la “garanzia di successo mediatico” o per “entrare nel Consiglio di Amministrazione” come lei sostiene e ha sostenuto nei nostri riguardi (accuse che, in tutta schiettezza, ci hanno indignato, ci indignano ma non ci tangono).

Detto questo, la sua partecipazione e quella del Governo pugliese al Convegno del 20 gennaio, non potrebbe che essere letta come un segnale tangibile dell'impegno per la reale ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che, speriamo, sia ancora comune.

In attesa di un suo riscontro, la salutiamo cordialmente.

Comitato pugliese “Acqua Bene Comune” – Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.

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